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MEDIOEVO: PILLOLE DI VITA QUOTIDIANA

24.04.2024 17:10
IL MATRIMONIO E IL RAPPORTO FRA I CONIUGI
Nel Medioevo il matrimonio era regolato da interessi e norme ben diversi rispetto a quanto accade oggi; esso infatti veniva definito sulla scia del diritto romano, come l'istituzione tra l'uomo e la donna di una comunione di vita e di beni, socialmente riconosciuta, che costituiva il presupposto per una discendenza legittima.E fin qui l’oggi corrisponde a l’ieri, almeno sul filo del diritto.
Allora però, quasi mai ci si sposava per amore, ma l’unione fra i futuri coniugi era il risultato di un "contratto" che si stipulava tra due famiglie per questioni di convenienza politica, economica o sociale. Questo non accadeva soltanto nelle classi nobili o di elevata condizione economica e sociale, ma anche tra famiglie di piccoli proprietari terrieri o artigiani.
Spesso il contratto di matrimonio era siglato tra i padri di famiglia quando i figli erano ancora bambini o talvolta, come nel caso di discendenti di case reali, poco dopo la loro nascita. Da un punto di vista economico, la conservazione del patrimonio familiare era di fondamentale importanza e si trovava alla base del privilegio della successione in linea maschile,con l’esclusione delle donne dalla sfera economica.
Le donne erano estromesse dalla successione paterna, in quanto esaurivano nella dote i loro diritti successori. Dote che non deve essere intesa come dono, ma come forma di credito, e quindi suscettibile di revoca. La famiglia della sposa metteva a disposizione le sostanze, acciocché il neonato nucleo famigliare potesse trarne sostentamento.
L’età da marito della donna era molto precoce: la Legge infatti permetteva alle giovani di contrarre matrimonio già a 12 anni, anche se l’età indicata dalle consuetudini era quella dei 14. Dopo i 15-16 anni una ragazza veniva considerata già vecchia, e a vent'anni era in pratica una zitella. Gli uomini, che avevano come limite minimo per sposarsi i 17 anni ma in certi casi anche 14, non avevano un limite massimo, anzi assai frequenti erano i matrimoni tra mogli-bambine e uomini maturi, che cercavano di assicurarsi la discendenza.
Occorre considerare, in proposito, che l’aspettativa di vita nel Medioevo era molto diversa da quella odierna. Considerando guerre, malnutrizione e diffusione delle malattie, a cinquant’anni un uomo era già vecchio. La donna, in ogni caso era considerata in età da marito al comparire delle prime mestruazioni, mentre spesso l’uomo arrivava al matrimonio intorno ai trent’anni, perché prima doveva essersi dato da fare in guerra o nella pratica di un’arte o mestiere, per potere mantenere la propria famiglia. Per questa ragione i garzoni e i servitori, ad esempio, non si sposavano perché non se lo potevano permettere economicamente.
Il matrimonio in quanto sacramento, risale al XII secolo a suggello di un lungo dibattito teologico, ma fin dall'inizio dell'VIII la Chiesa aveva cercato di imporre la sua concezione di matrimonio monogamo e indissolubile. In Italia si dovette attendere la riforma del matrimonio approvata nel 1563 dal Concilio di Trento, perché la celebrazione del rito in chiesa, alla presenza di un prete e due testimoni, e dopo la pubblicazione anticipata dei bandi, divenisse una condizione essenziale alla validità dell'unione. Fino a quella data gli sposi si scambiavano i consensi nella casa della donna dove venivano pronunciate parole di rito, e la fanciulla veniva"anellata" alla presenza del notaio che avrebbe poi redatto il contratto.
Nel XIII secolo ad esempio, presso le classi agiate, il matrimonio veniva prima formulato davanti a un notaio con il contratto in cui si specificava la dote della sposa.Il secondo passo era il fidanzamento, una cerimonia religiosa in cui la coppia si scambiava gli anelli e dove venivano esposte le pubblicazioni; poi seguiva il matrimonio vero e proprio.
Nella maggior parte dei casi, dal matrimonio non nasceva una vera e propria nuova famiglia, perché gli sposi andavano a vivere con i genitori dello sposo o della sposa, se questa non aveva fratelli, per condividere con loro la gestione familiare, la terra e gli altri possedimenti. Se però il marito era in grado di mantenere la sposa e la futura famiglia, i neosposi andavano a vivere per conto proprio.
Nel matrimonio-tipo, cioè quello tra famiglie ricche, le prime fasi erano affidate alle sapienti cure di un sensale, un professionista del mestiere che fungeva da "agenzia matrimoniale", mettendo in contatto le famiglie che avevano figli da maritare. Se le due famiglie riuscivano a trovare un compromesso soddisfacente, aveva luogo un incontro ufficiale tra i genitori dei futuri sposi durante il quale l’accordo matrimoniale era suggellato da una stretta di mano. La si chiamava "impalmamento", dai due palmi che si toccavano. Ancora oggi nel linguaggio colloquiale si dice scherzosamente "Eh! T’hanno impalmato", e il termine deriva proprio da questa antica cerimonia che costituiva già di per séun impegno formale, ufficialmente assunto. Annullare un matrimonio dopo la cerimonia d’impalmamento, sarebbe stata un’onta grave che avrebbe generato una pesantissima inimicizia tra le famiglie.
Potevano passare mesi, talvolta anni, talvolta anche parecchi anni, prima che il matrimonio giungesse a completezza. Le ragioni per cui si aspettava tanto erano le più svariate, e solo raramente l’età troppo giovane era una motivazione. Nella maggior parte dei casi, lo sposo doveva allontanarsi dalla città per cercare lavoro, per prender parte a una guerra, perché costretto all’esilio dalla fazione politica avversa… e via dicendo. Erano eventi frequenti e normali, così come era assolutamente normale che due sposi vivessero vite separate per un bel po’, dopo il loro matrimonio.
Un aspetto fondamentale nel contratto di matrimonio era quello della dote della sposa. Sul suo ammontare si confrontavano i padri di famiglia, e spesso si arrivava a una contrattazione vera e propria. La dote era di solito una somma di denaro anche molto consistente, che passava dalla famiglia di lei alla famiglia di lui. Ma come già detto, non si trattava di un dono, bensì di una forma di credito. La dote, infatti, restava comunque di proprietà della moglie: il marito aveva il diritto diamministrarla, ma non dispenderla, anche perché la moglie aveva il diritto di riprendersi l’intera somma in caso di vedovanza o di separazione per colpa dell’uomo,che doveva essere ufficializzata con atto notarile.
I rapporti tra coniugi
Al di là della frequentazione con prostitute, all’uomo era concesso di tradire la moglie ma solo con donne celibi. Al contrario, la donna non poteva in alcun modo essere infedele al marito. In caso di acclarato adulterio si procedeva in due modi: se l’uomo coglieva la sposa in flagrante poteva ucciderla, altrimenti era previsto il taglio del naso. Questa era la norma, ma è bene specificare che si trattava di consuetudini che non si concretizzavano quasi mai. Uccidere o mutilare una moglie fedifraga, equivaleva a rendere il tradimento di pubblico dominio, quindi...
Un aspetto da considerare, inoltre, riguarda l’igiene personale e ambientale. Tenuto conto che nella maggior parte delle case non c’era acqua corrente e neppure un luogo appartato dedicato ai bisogni primari, le camere da letto medievali non conoscevano l’intimità di quelle odierne. Esse infatti, soprattutto nelle case più umili, erano un tutt’uno con la cucina — oggi diremmo un "monolocale" —, e per questa ragione vi erano invitati spesso amici per mangiare e bere insieme alla coppia dei padroni di casa.Tali ospiti talvolta rimanevano fino a notte tarda, anche quando i coniugi andavano a letto e...non soltanto per dormire. Inoltre le camere da letto puzzavano, perché puzzavano i corpi, di sudore e altri pessimi odori, anche intimi. Le donne più accorte usavano oli ed erbe per profumare abiti e ambiente. Il letto in cui una donna dormiva col marito,era pure quello in cui partoriva e allattava e faceva i suoi bisogni nel pitale quando stava male. Ma pure nei quaranta giorni post parto, dove dal letto non si alzava né per mangiare né per altro, mentre alla casa e al neonato pensavano le parenti.
C’è inoltre da considerare che nel Medioevo,l’uomo e la donna nella quotidianità, andavano a letto nudi, e questo non per pudicizia, ma per un’esigenza molto concreta: evitare le pulci che infestavano la casa, e soprattutto le piattole che hanno come luogo privilegiato le parti pelose e più umide del corpo umano. Le coltri erano quindi sovrapposte l’una all’altra per evitare il freddo dell’ambiente, e per evitare il gelo dell’ambiente, l’unico indumento era il copricapo, sia per l’uomo sia per la donna, al fine di riscaldare la testa.
Riguardo al sesso però non si esprimevano solo preti e vescovi, ma anche i medici. I dottori in linea di massima raccomandavano non più di due prestazioni a settimana e sconsigliavano il sesso da ubriachi, dopo aver mangiato troppo o a stomaco vuoto. Il momento migliore era dopo i pasti, a cibo quasi digerito. Allo stesso modo, anche l’eccessiva astinenza era da evitare e, alla base di ciò, vi era una particolare concezione dell’uomo e della donna. Il primo era considerato un essere umano caldo e secco, la seconda fredda e umida. Il rapporto sessuale andava a bilanciare queste due condizioni,ma con l’astinenza c’era il pericolo che l’uomo diventasse troppo caldo, e la donna non riuscisse a raffreddarlo abbastanza; il che comportava danni alla salute.
Si credeva che l’inosservanza delle interdizioni potesse far rischiare la nascita di figli svantaggiati. Cesario di Arles, monaco cristiano del XV secolo, minaccia le donne e dice loro che in caso di trasgressione, metteranno al mondo dei lebbrosi. Secondo Gregorio di Tours, vescovo e importante storico del XV secolo, una donna del Berry che ha messo al mondo un mostro, confessa in lacrime a chi le chiede il motivo della disgrazia, che lo ha concepito in una notte di domenica. Gregorio aggiunge che, se i coniugi si uniscono sessualmente durante il riposo domenicale, i figli possono nascere paralizzati, epilettici o lebbrosi. All’inizio dell’XI secolo, il vescovo Tietmaro di Merseburgo riecheggia credenze analoghe:"Un uomo chiamato Uffo, cittadino di Magdeburgo, spinto da un’eccessiva ubriachezza, costrinse sua moglie Gelsusa a cedergli durante la solennità dei Santi Innocenti […] Scaduto il tempo, lei partorì un bambino con le dita dei piedi rovesciate".
Per quanto riguarda il comportamento a letto fra coniugi, Alberto Magno (1193-1205), vescovo di Colonia dell’ordine domenicano, stila un elenco delle posizioni ammesse nell’atto sessuale tra coniugi, dalla più naturale, la posizione del missionario, a quelle più peccaminose e proibite,ossia la posizione da dietro e quella con la donna sopra.
L’anonimo autore catalano del Miroir de foutre afferma che: "La posizione migliore è quella dove la donna si corica su un letto morbido, piatto e comodo, e dove l’uomo la copre. Lei ha le gambe alzate e la testa il più possibile sollevata. Lui deve mettere la mano sinistra sotto le sue spalle e abbracciarla con la destra, attirandola il più possibile verso di sé". Dopodiché presenta le ventiquattro posture amorose, suddivise in cinque categorie principali:"Le posizioni per fare l’amore sono contate fino a cinque: donna e uomo adagiati; di fianco; in piedi; lei raggomitolata, con le gambe sollevate e appoggiate sulle natiche di lui, molto allacciate. È la posizione più usata".
Tiziano Franzi .
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